lunedì 22 ottobre 2012

I dieci motivi dell'apogeo e della parabola discendente della salsa

I dieci motivi che hanno decretato l'apogeo della salsa sono gli stessi che nel loro stato negativo hanno portato all'attuale parabola discendente:

1° Se la salsa è sempre stata legata al fenomeno dell’emigrazione, c’è da rilevare come negli ultimi tempi la comunità latino-americana sia completamente sparita (con l'eccezione di qualche insegnante di successo) dalle nostre salsoteche. I latino-americani hanno finito con l’isolarsi.
A Roma frequentano solo alcuni locali prettamente latini come, ad esempio, il Marron Glacé o Los Compadres ed evitano di andare nei templi italiani della musica latina.

2° Se il successo della salsa è stato favorito dall’interesse verso le destinazioni caraibiche è anche vero che quel tipo di pubblico, amante dei viaggi, dell’avventura o della cultura latino-americana, si è poco a poco eclissato. Negli anni '90, alla salsa si avvicinavano le persone più sensibili, dinamiche, più vitali, più curiose.
Oggi, la stragrande maggioranza dei salseri più che per un interesse culturale si avvicina alla salsa col fine di colmare un vuoto affettivo o di passione. Ed una volta colmato: "Ciao! E chi si è visto si è visto!..."

3° Se il successo della musica tropicale si deve alla sua contagiosa allegria, è pur vero che quel modello è cominciato ad entrare in crisi quando le persone si sono accorte che nemmeno la salsa è un'isola felice.
Al contrario per molti, il "trip del ballo", si è trasformata in una fucina di frustrazioni ed aspettative deluse...

4° L’avvento prima dell’house e poi della tecno-music ha sicuramente spinto molte persone a trovare rifugio nei locali latino-americani, ma è indubbio che le barriere d'ingresso che abbiamo creato intorno al ballo, insieme a quella mentalità che abbiamo importato proprio dal mondo della discoteca, hanno reso l'ambiente della salsa sempre più selettivo.

5° Se la salsa è andata incontro alle esigenze di comunicazione e di socializzazione di una fetta di pubblico è anche vero che proprio l’allargamento di quella fascia ha accentuato le divisioni, dando voce a generazioni con esigenze diversissime sia in fatto di musica che di ballo.

6° Se diamo per scontato che in ognuno di noi batte un cuore latino, ci sarebbe però da chiedersi quanti salseri amano davvero la musica latina. A molti sembra interessare solo il ballo. Lo dimostra il fatto che a livello discografico la salsa è rimasta una realtà assolutamente di nicchia.

7° Se uno dei motivi del successo della salsa sta nel potere terapeutico del ballo e nella sua facilità d’esecuzione, c’è però da rivelare che, nel corso degli anni, la salsa si è andata sempre di più complicandosi, finendo col demotivare quelle persone meno talentuose o semplicemente meno motivate.

8° Se in passato la nascita di alcune orchestre locali ha contribuito alla diffusione della salsa (a Roma si contavano almeno una decina di orchestre) , è anche vero che la musica dal vivo è ormai quasi del tutto sparita dalle nostre serate ed anche i vari concerti (con l'eccezione di quelli estivi) sono spesso deserti.

9° Se altrettanto fondamentale è stato il contributo di tutti quegli operatori del settore (insegnanti, animatori, deejays, organizzatorii) che si sono rivelati i migliori ambasciatori di questa cultura, è purtroppo vero che la guerra che si è poi scatenata per la conquista del mercato sta rischiando di spingerci verso una ennesima Caporetto.

10° Alla fine resta solo il potere onirico della salsa. La salsa continua ancora oggi ad essere associata ad un eterno carnevale. Per molti appassionati rappresenta di conseguenza il sogno tropicale, quel desiderio di evasione che attraverso il ballo e la musica ci fa volare su quell' isola del tesoro (sicuramente caraibica) che ognuno di noi custodisce gelosamente nel proprio cuore...

Ed allora non resta che augurarci che, proprio riappropriandoci di questo sogno, riusciremo, prima o poi, a trovare la formula magica che ci farà ritrovare lo spirito delle origini...

Articolo scritto da Enzo Conte

giovedì 11 ottobre 2012

C'era una volta... La Tropical

Correva l'anno 2001 e tra i salseri romani si sentiva il bisogno di un luogo dove poterci incontrare d'estate, fuori dagli stereotipi finto-latini di Fiesta. Una casa comune dove poter dividere insieme a tanti amici, vecchi e nuovi, una comune passione.

Finalmente, in quell'estate del 2001 inaugurò La Tropical, un nuovo locale salsero creato dal cubano  Lazaro Martin Diaz nell'ambito del Parco Rosati.

Il Parco Rosati era stato fino allora un semplice parco giochi per bambini. Adesso si trasformava in un parco giochi per grandi, o meglio per eterni Peter Pan che  non avevano ancora perso la voglia di sognare...

La Tropical  all'epoca era un locale molto semplice, molto alla buona: un baretto, qualche sedia, qualche ombrellone.

Si ballava  in mezzo alla pista di pattinaggio illuminata solo da due faretti. Però proprio quella semplicità, oggi,  ci fa apprezzare ancora di più una epoca in cui in cui la SALSA non era ridotta ad un semplice business ma era legata davvero ad una passione, ad un entusiasmo che avevano delle radici più profonde...

In quel locale c'era una atmosfera magica. C'era persino chi ci andava ogni sera (da giugno a metà settembre)  perché sapeva che lì avrebbe trovato  i suoi amici o perché ne avrebbe conosciuti di nuovi...

La trasformazione che ha avuto la Tropical negli anni successivi, è sintomatica di cosa è successo più in generale al mondo della salsa.

E' indubbio  che ogni movimento, quando comincia a diventare di massa, perde i suoi valori iniziali ed incomincia a diventare schiavo delle esigenze del botteghino. E così la Tropical è cominciata a cambiare: si è cercato di allargarla nel tentativo  di mettere dentro sempre più persone, al punto da trasformarla in un vero e proprio porto di mare con gente che andava lì non perché interessato alla salsa ma solo perché intenzionato a fare passerella o a rimorchiare.

Alla fine i gestori, dimenticandosi completamente gli eroici esordi, hanno cominciato ad investire, trasformando la Tropical in una vera e propria discoteca, senza però rendersi conto che il momento era sbagliato perché ormai il giocattolo della salsa stava cominciando a rompersi...

Il fine non era più quello di tenere in locale aperto tutti i giorni solo per garantire un divertimento sicuro a tutti i salseri. No, l'obbiettivo era  quello di fare salsa  solo nelle serate che assicuravano un introito sicuro.

E così La Tropical, da che era aperta 6 giorni su 7, ha cominciato ad aprire solo tre giorni a settimana, senza accorgersi che nel frattempo la gente si era disamorata perché ormai tra i salseri si era fatta forte la convinzione che alla Tropical non si riusciva  più a ballare. Una convinzione tra l'altro esatta, visto che, in particolare nella serata del mercoledì, molte persone rimanevano il tempo intero a chiacchierare dentro la pista con  il bicchiere in mano, disturbando così le evoluzioni dei ballerini.

Poi l'inopinata scelta di privilegiare solo ed esclusivamente la musica cubana ha fatto il resto, allontanando tutte quelle persone che preferivano una selezione diversa, magari più bilanciata o almeno a 360°...

Credo che proprio  la parabola della Tropical, ci deve far riflettere ed allo stesso tempo aiutare a  capire che  la salsa non può e non deve assomigliare al mondo  delle discoteche, deve continuare ad essere una cosa a parte, un oasi felice dove dovrebbe regnare il mai tanto lodato "pochi ma buoni"...

Credo che nessuno di quelli che ha avuto la fortuna di conoscere  La Tropical delle origini non abbia sentito una stretta al cuore ripensando a quando quel locale era un piacevole punto di incontro e di confronto in cui ancora non c'era la cultura del guadagno a tutti costi, ma regnava solo la cultura del divertimento ed il piacere di dividere insieme ad altri romantici il mito dell'America Latina ed il sogno tropicale...

Articolo scritto da Enzo Conte

mercoledì 10 ottobre 2012

L'UNIVERSITA' DELLA DANZA E DEL BALLO SOCIALE E FOLKLORICO

Il crescente interesse del pubblico italiano verso  il mondo della danza e del ballo ha visto negli ultimi anni il prolificare di tantissime scuole ma soprattutto il dilagare di tantissimi maestri improvvisati, molti dei quali dedicatisi "all'arte di insegnare" praticamente dalla notte alla mattina.

Immaginate ora cosa succederebbe se tutti coloro in grado di suonare uno strumento si mettessero ad insegnare musica. Sarebbe il caos più totale!...

Per fortuna non è così, anche perché a regolare la figura del Maestro di Musica c'è una bellissima Istituzione che si chiama "Conservatorio", dove  si iscrivono coloro che vogliono dedicarsi  all'insegnamento o all'attività concertistica (avendone chiaramente  capacità e talento).

La mancanza nel mondo della danza di una istituzione simile al Conservatorio, serve a spiegarci ampiamente la situazione di caos in cui viviamo ed i paradossi a cui oggi impotenti assistiamo.

Oggi infatti qualsiasi persona con un po' di iniziativa (ed in grado di fare almeno un passo base) può mettersi ad insegnare, perché lo STATO di fatto chiude gli occhi, al punto da non riconosce ufficialmente il mestiere del MAESTRO DI BALLO (basta andare ad un ufficio ENPALS, l'ente pensionistico dei lavoratori dello spettacolo, per rendersene conto).

Per lo Stato esistono i Maestri di Musica (che escono dal Conservatorio), persino i Maestri di Educazione Fisica (quelli che in passato uscivano dall'ISEF) e gli allenatori sportivi (basti pensare ai tecnici che escono dalla scuola di calcio di Coverciano) ma non riconosce i MAESTRI DI BALLO, perché ha il torto antico di non  considerare questa una vera e propria professione, meritevole dunque di rispetto e di attenzione.

Questo però, a ben vedere,  è UN TORTO che appartiene a tutta la nostra Organizzazione Scolastica che è rimasta ancorata ai programmi della  riforma Gentile di epoca fascista.

Nel frattempo il mondo è cambiato: sono sorte nuove professioni, nuovi mestieri, nuove figure professionali, nuove esigenze, ma noi siamo ancora lì con i programmi  del secolo scorso,  impegnati magari a buttare sangue su materie morte come greco, latino e (per certi versi) matematica.

Da questo punto di vista ci sarebbe molto da imparare da un paese emergente come il Brasile dove hanno creato delle Università ad hoc per le professioni emergenti. Pensate, ad esempio,  che mia moglie (che di professione è estetista) ha frequentato lì l'Università di Estetica (il corso dura tre anni).

Non poteva poi mancare in una città musicale come Salvador de Bahia una Università della Danza, dove si laureano i futuri performers o i futuri maestri di ballo. Tutte queste sono Università riconosciute dallo Stato.

Persino nella affascinante Cuba esiste un Istituto  del genere, ovvero l'ISA, Istituto Superiore dell'Arte che è contemporaneamente un Conservatorio di Musica, una Accademia di Danza e Teatro ed un Istituto  di Belle Arti.

Qui in Italia invece siamo rimasti proprio dietro, al punto che non esiste nulla di simile (a parte forse il DAMS di Bologna).

Per cui se vogliamo salvaguardare il futuro della nostra professione, tutti i nostri sforzi dovrebbero essere rivolti non alla creazione dell'ennesima "Associazione tra Amici", ma semmai alla nascita di una "UNIVERSITA' DELLA DANZA E DEL BALLO SOCIALE E FOLKLORICO", una ISTITUZIONE riconosciuta dallo Stato che possa fornire a tutti i maestri non solo una laurea, ma anche delle solidi basi sia dal punto di vista didattico o metodologico che dal punto di vista psicologico e della comunicazione sociale.

Il che non ci assicura certo che tutti i maestri che usciranno  da quella Università saranno necessariamente i più bravi. Questa Università però potrebbe essere un ottimo strumento per  mettere ordine all' anarchia oggi esistente, per darci delle regole, per fissare delle norme, per creare dei veri e propri programmi scolastici.

In caso contrario, di questo passo, finirà  che per il futuro ci saranno più maestri che allievi!!!

Infatti mentre anno dopo anno cresce sempre più il  numero degli insegnanti, il numero degli allevi non cresce, ed  ecco perché un po' tutte le scuole stanno cominciando a sentire i venti della crisi,  semplicemente perché oggi come oggi l'offerta è superiore alla domanda.

Qualcuno potrebbe optare che ci sono già le Federazioni di Ballo che elargiscono diplomi, ma stiamo parlando di due Istituzioni completamente diverse, con fini ed obbiettivi totalmente differenti.

La presenza di una Università del Ballo non ostacolerebbe l'esistenza delle tante Federazioni oggi operanti, in quanto queste  federazioni sono di fatto delle ASSOCIAZIONI SPORTIVE, per cui si occupano di SPORT e quindi di gare.

Una Università del Ballo è chiaro si dovrebbe occupare di tutt'altro, ovvero: ARTE, STORIA, CULTURA e FORMAZIONE.

Coloro che amano le gare, e che vedono nel ballo uno  sport è giusto che si iscrivano alla loro bella Federazione, ma chi nella danza e nel  ballo sociale (senza dimenticare quello folklorico) non vede né una gara, né uno sport, dovrebbe pure avere il diritto di avere una struttura specifica in cui studiare.

Questo è un tema che il Ministro della Pubblica Istruzione  dovrebbe prendere a cuore.

Oggi le Scuole di Ballo hanno un fatturato altissimo (spesso in nero) ed è assurdo che lo STATO non si renda conto di tutto ciò e non si preoccupi Lui per primo di mettere ordine a questa giungla.

Esiste poi un  altro assurdo:  proprio la riforma Gelmini prevede la nascita di Licei Musicali e Coreutici dove studiare sia musica che ballo. Sono stato al Ministero a chiedere informazioni sui criteri di reclutamento degli insegnanti per le varie discipline. Ebbene all'ufficio informazioni del Ministero non mi hanno saputo dare una risposta esauriente.

Mentre per gli insegnanti di Musica è naturale che vengano scelti tra coloro che sono diplomati al Conservatorio, non è ancora chiaro con che criterio vengano scelti gli insegnanti di ballo, visto che non ci sono Accademie o Università riconosciute dallo stesso Stato (con l'eccezione forse delle Accademia di Danza della Scala e del Teatro dell'Opera).

Il che significa  che per il futuro ci attende una vera e propria battaglia giuridica, perché al momento siamo considerati dei peones (se non proprio degli stravaganti).

Dobbiamo sforzarci di volare più in alto e di capire che solo dando dignità e nobiltà alla carriera del Maestro di Ballo, potremmo un domani mettere fine al CAOS oggi esistente.

La posta in  gioco, cari amici e colleghi,  va' dunque ben al di là dei personali interessi di bottega.

Prevede una vera e propria rivoluzione nel campo dell'insegnamento (se mai ce ne sarà una).

Certo, il giorno in cui lo Stato prevederà una LAUREA per coloro che volessero dedicarsi al mestiere del Maestro di Ballo, saranno in molti a spaventarsi. Sono però altrettanto certo che una eventualità del genere non spaventerebbe affatto  coloro che da anni fanno di questa missione il proprio mestiere.

Mi riferisco in particolare a quei Maestri,  di nome e di fatto, che sanno perfettamente di non avere  nulla da temere da un Corso di Laurea del genere.

Sono fermamente convinto che una Università del genere non solo ci permetterebbe di allargare le nostre conoscenze e di ottimizzare le nostre qualità, ma (cosa fondamentale) ci aiuterebbe ad uscire dall'anonimato assoluto (assumendo una vera e propria identità giuridica e fiscale)  mettendo finalmente fuori gioco l'imperante  "dilettantismo allo sbaraglio", tipico di questi nostri tempi incerti...


Articolo swcritto da Enzo Conte

martedì 9 ottobre 2012

TRUDY IGLESIAS, "la reina del sabor" (per i suoi 25 anni dedicati all'insegnamento)

Quegli intrepidi pionieri che, tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, frequentavano il mondo latino-americano non possono che provare un sussulto di gioia, una emozione o un fortissimo senso di nostalgia quando sentono pronunciare questo magico nome: Trudy Iglesias.

Sì perché Trudy in quegli anni era l'immagine stessa della salsa. Non era  soltanto  la prima insegnante di salsa della capitale (insieme  all'inseparabile amico Jaime Otalora)  ma era una delle più grandi ispiratrici della movida latina.

Nata a Caracas, qualche tempo fa (nessuno, così come successo con la mitica Celia Cruz, ha mai conosciuto la sua vera data di nascita!), fin da piccola ha sviluppato una grande passione per la danza ed il canto (possiede infatti una bellissima voce).

Dopo aver mosso i primi passi professionali nel suo paese, negli anni '80 si trasferisce nella mitica città eterna con l'intento di completare i suoi studi universitari.

Nel 1986 incomincia ad insegnare presso il mitico Charango, il primo locale latino-americano della capitale. Qui praticamente tiene a battesimo tutti gli aspiranti ballerini dell'epoca, molti dei quali diventeranno in futuro degli insegnanti o dei ballerini di successo. Io stesso ho avuto la fortuna di cominciare a studiare con lei nel 1990 e sono subito rimasto conquistato dal fascino di questa negra che spruzzava sabor da tutti i pori. Mi colpiva, allo stesso tempo,  la sua grande professionalità, il fatto che era una insegnante che pretendeva molto dai suoi allievi, che ci teneva in modo particolare non solo che  apprendessero ma che si appasionassero  alla cultura latino-americana.

Negli anni, questo mito vivente della salsa ha dato vita ad una frenetica carriera che l'ha portata non solo a continuare con successo la sua incessante opera di divulgazione, ma che l'ha portata ad allargare i suoi orizzonti. La caratteristica vincente di Trudy sta proprio nel fatto che non è una persona che si chiude a riccio nel suo sapere. Al contrario la sua grande curiosità l'ha sempre portata a mettersi in gioco, a conoscere ed approfondire nuovi ritmi, nuovi stili di ballo, al punto da collaborare attivamente con personaggi del calibro di Alvaro Hugo, Papito Jala Jala, Tony Castillo, Pedro Gomez e Lazaro Martin Diaz (con cui ha  recentemente messo in scena un musical sulla salsa).

E' un personaggio che non solo suscita stima, rispetto ed ammirazione (da parte dei suoi stessi colleghi), ma che suscita anche tanta simpatia per l'entusiasmo giovanile che ancora  mette nelle sue lezioni, per l'instancabile voglia di trasmettere agli altri non solo una tecnica, una gestualità o una espressività corporea ma anche una passione per quella cultura di cui oggi lei stessa è una icona vivente.

Viviamo  in una epoca in cui impera il dilettantismo, in cui qualsiasi persona capace di fare due passi si avventura nella difficile arte di insegnare. E' una cosa molto triste che ci deve far riflettere... Non dobbiamo però dimenticare che insieme a tanti maestri improvvisati esistono personaggi di grande spessore professionale e culturale come la nostra Trudy Iglesias che proprio quest'anno, nel 2011, ha festeggiato, pensate un po', i 25 anni di carriera. Ed è giusto, importante fare in modo che anche le nuove generazioni conoscono questo personaggio che così tanto ha dato al mondo della salsa

Non ci resta che tributare dunque un  lungo applauso, anzi una standing ovation,  a questa simpatica venezuelana che ancora oggi incanta tutte le volte che scende in pista: con la sua malizia,  il suo sabor, con quella sua pantomina facciale, ma soprattutto con quella  "semplicità" che non ha bisogno di acrobazie, capriole o effetti speciali per far risaltare  il suo immenso talento...

Da anni ho il piacere di collaborare con lei, di dissetarmi alla fonte dei suoi racconti delle sue esperienze, ma soprattutto  la gioia e di avere accanto una persona capace di indicare a tutti la strada che conduce alla maestria...

Grazie Trudy , da parte di tutti noi!!!....

Articolo scritto da Enzo Conte

lunedì 8 ottobre 2012

"IL DOMINGO SOCIAL" un approccio diverso per favorire la socializzazione nella Salsa

Una volta questo mondo era caratterizzato da due fenomeni molto interessanti: "lo spirito di aggregazione" e "lo spontaneismo".

Oggi, al contrario, si fa sempre più difficile aggregare sotto uno stesso tetto persone con gusti, scopi e motivazioni molto diverse.

In passato, quando non c'erano  tutte le rivalità odierne, i locali erano sempre pieni... e sto parlando  di una epoca in cui non era così facile promuovere le proprie serate, in quanto non esisteva Internet, non si comunicava via e-mail, non esistevano i Forum e non c'era Facebook o gli altri social network.

Tutto si svolgeva con il semplice passa-parola, senza bisogno di maestri che fungevano da P.R. o organizzatori....

Oggi, purtroppo, per radunare frotte di appassionati, desiderosi di dare sfogo alla loro voglia di divertirsi e di condividere con altri epicurei una sfrenata passione, non basta più aprire un bel locale  e mettere della musica di qualità.

No, oggi la gente ha bisogno di una motivazione più forte (una inaugurazione, un compleanno, un saggio o al limite una serata a tema) e noi con le nostre divisioni, con le subdole lotte tra scuole, stili di ballo ed indirizzi musicali, non gliela stiamo dando.

Anzi stiamo creando un ambiente sempre più competitivo che non favorisce certo né l'aggregazione, né la socializzazione, tanto meno il divertimento...

Proprio partendo da questa crescente "difficoltà di socializzazione nel mondo della salsa", ci siamo uniti per lanciare una iniziativa "diversa", tesa ad abbinare in maniera controcorrente "cultura e divertimento"...

Prendendo spunto da quello che  succede già da diversi anni a New York e in alcune zone d'Italia, abbiamo deciso di proporre qui a Roma il "Domingo Social" (un matinè danzante che si tiene ogni due settimane, la domenica pomeriggio, dalle ore 18 alle ore 24). 

Un evento caratterizzato, in particolare, dalla esigenza di creare un clima amichevole, festaiolo, ludico, in grado di poter favorire al massimo la socializzazione tra tutti i partecipanti.

Non una riunione di pochi eletti, in cui dover sfoggiare le propria capacità tecniche, ma una serata più goliardica, che si ripromette di assomigliare sempre di più a quelle feste che una volta si tenevano in casa....

Da sempre sostengo che il successo di una serata è fatto di svariati ingredienti ma alla fine la cosa più importante resta "l'allegria della gente",

ovvero la qualità umana delle persone che vi si incontra.

Se il tuo pubblico è fatto da persone altruiste, gentili, pronte ad invitare o ad accettare di ballare sia con principianti che con perfetti sconosciuti, allora la serata sarà un vero successo.

Se il tuo pubblico, al contrario, avrà un atteggiamento aristocratico e sarà lì solo per criticare o dimostrare il proprio valore, allora puoi avere il locale più bello del mondo o la musica migliore del mondo ma andrai incontro ad un sicuro insuccesso...

Per il successo dell'iniziativa contiamo sull'appoggio di tutti, in quanto,  come ormai andiamo ripetendo da tanto:

"l'entusiasmo genera entusiasmo!..."

Articolo sritto da Enzo Conte

sabato 6 ottobre 2012

La salsa nella seconda metà degli anni '90: la perdita dell'innocenza!

Il  successo della salsa in Italia, come è ormai ampiamente noto,  non è fatto solo di luci ma anche di molte ombre.

 Anzi la sua diffusione capillare ha innescato alcune spirali perverse che ne minacciano il futuro.

I primi anni ‘90, in questo senso sono stati una specie di "età dell'innocenza". La nostra passione non era motivata da motivi economici, né da esigenze da single. Eravamo, al contrario, dei romantici scapigliati, approdati nei pochi locali latini non tanto perché attratti dal ballo, piuttosto perché affascinati dalla cultura latino-americana...

All'epoca c'erano pochissime scuole. Se uno voleva imparare a ballare (oggi sembra assurdo ma c’era chi usciva la sera solo per ascoltare della ottima musica dal vivo) molto spesso lo faceva direttamente nei locali, rubacchiando un po’ qua un po’ là...

A partire dal 1994, l'interesse suscitato sia dal casino cubano che dalla salsa portoricana ha però fortemente cambiato questo approccio naif. A quel punto l'interesse del pubblico è passato dalla musica al ballo e per molti è diventato obbligatorio iscriversi ad una scuola, pur di partecipare alla festa.

In realtà le divisioni oggi esistenti sono alimentate da quelle che sono la croce e la delizia del mondo salsero: le scuole di ballo. Purtroppo le scuole tendono a trasformarsi in piccoli clan, in cui si cerca a tutti i costi di fidelizzare il cliente, arrivando persino a manipolare il suo gusto musicale.

La cosa più negativa è che, con gli anni, la proliferazione degli insegnanti (favorita dal lucroso mercato dei diplomi) ha finito con l'aumentare a dismisura il numero di clan, accentuando il grado di conflittualità.

C'è inoltre da rilevare che i rapporti tra i vari maestri non sono sempre dei migliori.

I primi ad odiarsi però non sono tanto quelli affermati (in quanto già affermati e quindi non bisognosi di conferme), quanto quelli rampanti, ovvero quelli desiderosi di scalare la vetta e di crearsi, a loro volta, la loro bella fetta di mercato.

Molti maestri devono così guardarsi le spalle in primis dai propri ex allievi, che (dispiace rilevarlo) sono spesso i primi, una volta staccatisi, a cercare di parlare male del proprio maestro e del suo lavoro, nella speranza di riuscire a trovare un minimo di iscritti ai loro corsi...

Il business che c’è intorno al "fenomeno salsa" scatena di conseguenza un gioco al massacro e diventa difficile in questo clima avere dei corretti rapporti di vicinato se non di vera e propria amicizia (virtù molto rara un po’ dappertutto ma soprattutto negli ambienti altamente competitivi in cui è più importante l’apparire che l’essere)...

Questo clima guerrafondaio è sicuramente il male più grande del nostro ambiente e credo che sia necessario per noi tutti, semplici appassionati o addetti ai lavori, fare un piccolo passo indietro per prendere coscienza del grosso pericolo che stiamo correndo.

Qui rischiamo, in presenza di una guerra prolungata, di distruggere quello che tanto faticosamente abbiamo costruito in questi anni. Il perdurare di queste faide, di queste lotte più o meno clandestine rischiano infatti di farci ritrovare in quattro gatti a rimpiangere il miracolo italiano...



Articolo scritto da Enzo Conte

venerdì 5 ottobre 2012

GLI ALBORI DELLA SALSA PORTORICANA IN ITALIA


Trascurata dai mass media, snobbata dalle agenzie turistiche, ignorata completamente dal turista italiano, Puerto Rico è rimasta per anni un punto indefinito nella carta geografica.
La mancanza di una colonia portoricana in Italia ha d’altro canto contribuito al suo isolamento, anche se negli ultimi anni c’è stato un cambio di tendenza grazie all’arrivo nel nostro paese di molti maestri provenienti dall’isla del encanto.

A differenza della maggior parte degli italiani che hanno avuto modo di conoscere la salsa attraverso Cuba, oppure attraverso l'insegnamento dei molti latino-americani presenti in Italia, il mio amore per la salsa è nato nel 1988 all'epoca in cui facevo il pianista in un locale di New York.
Conclusa quella fantastica esperienza, quello stesso anno decisi di andare alla scoperta di Puerto Rico e devo confessare che fu AMORE A PRIMA VISTA.
Credo di essere stato il primo in Italia a sottolineare, nel mio libro “Salsa, il Tropico dell’Anima” (pubblicato nel 1994) il grande contributo di Puerto Rico alla causa salsera.
Grazie a questo libro, molti appassionati sono venuti a conoscenza dell’esistenza di questa isola. Un interesse che negli anni si è andato sempre più incrementando, grazie anche al contributo di molti altri bravi professionisti del settore.

Sono ritornato a Puerto Rico nel 1991 e poi di nuovo nel 1994. Al ritorno di quel mio terzo viaggio decisi di dare vita, presso la discoteca Heaven di Roma, a quello che credo sarà in assoluto il primo corso ufficiale di salsa portoricana in Italia.
Quasi contemporaneamente, una eccellente ex ballerina di tango, l’argentina Ivana Maldonado apre a Roma un altro corso. La Maldonado aveva conosciuto questo stile attraverso Pedro Gomez, un bravissimo cubano, emigrato da giovane a Puerto Rico ma radicato da alcuni anni in Germania.
Arrivato in Italia nell’estate del ‘94, per fare da giudice in una gara di ballo, vi era ritornato per una serie di stage nel novembre del 1994 su invito dell’impresario Federico Solari e di Elsa Vega, una insegnante peruviana residente a Firenze.
Nel presentare questo nuovo stile Gomez avrebbe voluto utilizzare la parola “salsa hustle”. Su consiglio della maestra peruviana alla fine decise però di adottare il termine “New York Style”.

A Roma Gomez arriva proprio grazie ad Ivana Maldonado, che per l’occasione riesce a riunire un gruppo formato dai migliori ballerini dell’epoca, ansiosi di confrontarsi con questo nuovo stile.
L'esempio mio e di Ivana, insieme all’arrivo di Gomez fa molto discutere il pubblico romano che sembra spiazzato davanti a questo stile che per la sua eleganza e la sua linearità si discosta molto da quello cubano. Il pubblico si divide in entusiasti estimatori e feroci denigratori.
Gomez (popolarissimo in tutto il nord Europa) ritorna più volte in Italia, fino a fermarsi definitivamente, grazie all'invito del maestro Franco Restuccia, nella città eterna.

Nel frattempo due fratelli di Torino, Daria e Pietro Mingarelli, anch’essi assidui frequentatori di Puerto Rico, incominciano a diffondere la salsa portoricana soprattutto nell’Italia del nord. Una salsa figlia degli insegnamenti del maestro Tato Conrad, proprietario dell’Arthur Murray, una delle accademie di ballo più famose di Puerto Rico.
Lo stile dei fratelli torinesi riscuote un grande successo, grazie soprattutto alle doti e al carisma di Daria Mingarelli che diventa un vero punto di riferimento per le tante salsere italiane desiderose di sviluppare una propria espressività corporea.
Va poi dato atto ai fratelli Mingarelli la capacità di riuscire a diffondere su larga scala il loro stile, creando anche una vasta rete di emuli e collaboratori.

Ad incrementare l’interesse verso questo nuovo stile, nella primavera del 1996, su mio invito, arrivano in Italia: Papito Jala Jala e i suoi Jala Jala dancers. Si tratta in assoluto della prima tournée di un gruppo portoricano nel nostro paese. L’arrivo degli Jala Jala dancers se da una parte mette molta curiosità, dall’altra è motivo di disagio per tutti quelli che si sentono in grande difficoltà davanti a questo stile così diverso da quello un po' rigido ed impostato che fino allora si era cercato di divulgare.
Uno stile callejeiro, con grandi riferimenti sia al folclore boricua che al mambo degli anni ‘50, eseguito prettamente sul secondo tempo della musica (novità assoluta per l’Italia se si eccettua l’ancora poco conosciuto son cubano).

Fra tutti gli appassionati grande successo riscuotono Tito Ortos e Jorge Santana, due giovani ballerini che dimostrano un grande virtuosismo, attraverso l’esecuzione di alcuni pasitos (conosciuti anche come mambo shines) spesso velocissimi e spettacolari. Grande impressione destano anche Dianne Sierra e Tania Santiago, che fa innamorare un po’ tutto il pubblico italiano, dimostrando come una donna può essere elegante e sensuale senza mai sfociare nella volgarità.
Ammirazione suscita infine il sabor di Papito Jala Jala, un ballerino davvero atipico che, nonostante la sua mole imponente, si muove con grande energia, esprimendo un carisma incontenibile.
Per molti si tratta di una vera e propria illuminazione e cominciano non solo le conversioni ma anche i pellegrinaggi sia a Puerto Rico che a New York.

Nell’autunno del 1996 su invito dei maestri Pedro Gomez e Franco Restuccia, arriva in Italia il famosissimo Eddie Torres con il suo gruppo. Sempre da New York arrivano, su mio invito Angel e Adelaida Rodriguez, due famosi ballerini di hustle.
Dalla Grande Mela arrivano, su iniziativa di un mio ex allievo, Aniello Buono, anche due vecchie glorie del mambo come Freddy Rios e Mike Ramos.
Da allora mumerosissimi sono stati i maestri portoricani o nuyoricans che sono venuti a farci visita per testimoniare la loro arte.

In quegli anni ruggenti, da segnalare infine l’apporto dato, soprattutto nell’Italia del nord, da Raphael Muñoz, un messicano residente in Germania e l’ottimo lavoro divulgativo condotto dalla coppia formata da Carlitos Ortiz (unico ballerino portoricano residente in Italia) e dalla bravissima spagnola Martika D' Armiento, che aveva conosciuto questo stile direttamente a Puerto Rico, proprio attraverso gli insegnamenti di Papito Jala Jala.

Da lì la storia continua fino ai giorni nostri attraverso l'entusiastico contribuito di tanti importanti personaggi, sia italiani che stranieri, che hanno portato il loro apporto alla diffusione di questo stile che, pur nelle sue differenti anime, ha contribuito così tanto ad alimentare la passione italiana per la salsa....

Articolo scritto da Enzo Conte

giovedì 4 ottobre 2012

Perché il livello musicale delle serate "generaliste" si è drammaticamente abbassato?

Durante il Conjunto Salsero di Riccione, dedicato interamente alla salsa portoricana, al New York Style ed al Los Angeles mi è capitato di passare la serata  fianco a fianco con  Tito Ortos e Tamara Livolsi (due dei migliori ballerini di Puerto Rico). Dalle loro espressioni mi accorgevo che  erano piuttosto sorpresi  della musica che mettevano i dee jay di turno, incentrata prevalentemente sulle sonorità di New York degli anni '60 e '70.

A Puerto Rico, in realtà, quel tipo di musica si ascolta poco, in quanto i portoricani preferiscono di gran lunga la musica più guarachera, ovvero la salsa gorda dei vari Cortijo y su Combo, Bobby Valentin, El Gran Combo de Puerto Rico, La Sonora Ponceña, Tommy Olivencia, Roberto Roena, Ralphy Leavitt o quella di immortali cantanti come Cheo Feliciano, Ismael Miranda, Hector Lavoe, Andy Montañez, Marvin Santiago, Gilberto Santa Rosa, Frankie Ruiz, Cano Estremera, José Alberto el Canario, Celia Cruz, Oscar de Leon, etc etc...

Ma la cosa che Tito e Tamara hanno trovato più sorprendente è il fatto che i dee jay invece di miscelare la salsa dura con quella  più romantica, la miscelavano con la bachata, genere che a Puerto Rico piace solo alla comunità dominicana.

Ora è vero che ogni popolo ha le sue caratteristiche, ma mi chiedo se la musica che si sente oggi nei locali dipenda dai gusti del pubblico o  da quelli dei dee jay, influenzati, a loro volta da quella fetta di insegnanti che ballano su un determinato stile piuttosto che su un altro...

Lo stesso discorso lo possiamo estendere a quelle serate che in teoria dovrebbero essere  di "Musica cubana".

A ben guardare non sono serate dedicate  alla "musica cubana" ma soltanto alla "timba cubana" (con continue escursioni nel timbaton o nel reggaetton.)

Oggi è infatti praticamente impossibile ascoltare, nell'ambito di una serata cubana, un vecchio son, una guaracha,  una pachanga, un bolero o persino un chachacha.

Grandi artisti del passato come Benny Moré, Arsenio Rodriguez o la stessa Celia Cruz sono poi assolutamente off limits, al punto che le nuove generazioni salsere ignorano assolutamente chi siano.

Anzi è più facile ascoltare questi grandi artisti nell'ambito di quelle serate dedicate alle sonorità di Puerto Rico e New  York che  a quelle (sempre in teoria) dedicate alla musica cubana.

Non è, amici dee jays,  paradossale?...

Il risultato di questa  miope e scriteriata politica è che oggi il livello musicale nelle serate generaliste si è drammaticamente abbassato al punto che è sempre più difficile  far convivere sotto lo stesso tetto persone che, strada facendo, hanno sviluppato gusti musicali e gusti di ballo completamente in antitesi, sebbene accomunati dalla stessa radice.

Certo se i dee jays si sforzassero di miscelare di più i vari generi musicali, magari si riuscirebbe a fare più cultura, a trasmettere più curiosità,  più tolleranza, fondendo così qualità con divertimento (come succedeva, appunto, una volta...)

Sinceramente, non so se riusciremo mai a modificare l'attuale tendenza, ma è indubbio che  dee jays, organizzatori e  insegnanti dovrebbero cercare di lasciare da parte i meri interessi di bottega per riprendere il loro ruolo di divulgatori e difensori della cultura latino-americana (che non può essere confinata ad una sola nazione, che sia Cuba o Puerto Rico...)

 

Ci riusciremo mai?

A voi dee jay l'ardua sentenza...

Articlo scritto da Enzo Conte

mercoledì 3 ottobre 2012

SU CHE TEMPO SI DEVE BALLARE LA SALSA?

 A tiempo, en contratiempo, en clave, On 2, Break on two (avanti o indietro), Power two ?

In passato, ogni volta che andavo a Puerto Rico o a New York mi rendevo conto che i ballerini più bravi ballavano sul secondo tempo della musica. Di conseguenza se volevi ballare con loro dovevi per forza adottare quella tecnica, altrimenti rimanevi a guardare. Ho cominciato così anche io a "bailar en contratiempo", fino al punto di arrivare a sentire la musica in maniera differente.

Non tutti sanno però che in musica esista un “ritmo psicologico”. Di conseguenza, fin quando ti abituerai a ballare sulla melodia ti verrà naturale ballare su di essa. Al momento che sposterai la tua attenzione sulle percussioni ti verrà naturale ballare magari sulle congas o sulla clave. In quel modo il tuo ballo ti sembrerà più sabroso, ma lo sarà, semplicemente, perché cambierà la tua percezione ritmica.

E’ bene però ricordare che gli altri non ti valutano per il fatto che tu balli su un tempo piuttosto che su di un altro (anzi per molti ballare sul due non è affatto un segno distintivo di valore) ma semmai ti giudicano per la passione che ci metti, per l'interpretazione che sai dare a quel particolare brano.

Scegliere una differente forma di interpretazione, vuoi che sia A tiempo, En contratiempo, En clave, On 2, Break on two (avanti o indietro), Power two (terminologia coniata da Angel Rodríguez) o chi più ne ha ne metta, non è poi una chiave di successo garantita.

Viviamo in una epoca di grande varietà di offerte e di proposte. Ognuno vende la sua verità promettendo, come si fa in pubblicità, miracoli garantiti: “Adotta il mio passo base e diventerai una vera star!!! Vedrai, non te ne pentirai!!!”.

Io stesso mi ero illuso che fosse così, ma poi, col passare degli anni, mi sono reso conto di alcune cose:

1°Che ballare sul due non è affatto naturale, soprattutto per noi europei

2°Che ci sono diversi modi e diverse tecniche per farlo

3°Che a Cuba, Puerto Rico e New York la maggior parte dei ballerini continuano a ballare sull'uno o in maniera assolutamente libera.

A quel punto ho cominciato a chiedermi con crescente preoccupazione: “Ma perché mai dovremmo insegnare ai nostri allievi a ballare sul due quando i grandi professionisti non ci sono riusciti nemmeno nei loro luoghi d'origine, visto che fuori dal circuito delle scuole di ballo, si continua tranquillamente a ballare sul tempo variabile. A cosa dobbiamo questo nostro stoicismo?!?!”

Ho iniziato poi ad analizzare altri aspetti:

1°Un bravo ballerino si vede dal suo linguaggio corporeo: dalla qualità del suo movimento, dalla sua morbidezza, dalla sua fantasia, dalla sua creatività, dalla sua attitudine, dalla sua espressività e non dal tempo in cui balla.

2°Pur cambiando tecnica di esecuzioni i bravi ballerini rimangono, infatti, lo stesso bravi ballerini

3°Al contrario i tronchi rimangono tronchi a prescindere dal tempo in cui ballano.

Se una tecnica fosse superiore all'altra, basterebbe ballare sul due o sul break per diventare tutti dei piccoli mostri. Ognuno di voi può constatare che non è così: ci sono persone che quando ballano sono ritmicamente perfette, ma il loro ballo si vede meccanico, altre che invece hanno una concezione del tempo piuttosto libera, ma quando si muovono sanno esprimere sabor da tutti i pori.

Non credo però che il problema vero sia quella di insegnare a ballare sull'uno o sul due, semmai quella di trasmettere ai propri allievi un buon senso ritmico ed un minimo di linguaggio corporeo.

Il senso ritmico, ad esempio, non è per tutti così scontato. C'è gente che ha difficoltà a riconoscere l'uno, figuriamoci il due!!! Altri, ancora, hanno difficoltà a rendere costante un tempo d'esecuzione.

Da qualche anno, ai miei principianti, insegno a ballare direttamente a tempo. Insegno il controtempo solo a quegli allievi che dimostrano di avere un senso ritmico più accentuato. Mai scelta fu più felice!!! Prima era una vera e propria ecatombe. Ma quella ecatombe era frutto di un mio errore di zelo.

L'errore (nel tentativo di emulare i miei maestri) era quello di voler imporre agli altri una esigenza che di fatto non sentivano. Oggi, al contrario, reputo fondamentale assecondare le predisposizioni personali. Sono infatti sempre più convinto che il ballo sul due (a prescindere dalla tecnica di esecuzione) non si addice a tutti e che molti farebbero meglio a continuare a ballare a tempo, in quanto più consono alle proprie corde espressive.

Certo, con molta pazienza tutti possono riuscirci, pagando però sempre uno scotto iniziale. Questo dazio è rappresentato dal fatto che, all’inizio, il tuo movimento ti sembrerà (e sarà) sicuramente meno fluido e spontaneo, soprattutto se invece di scegliere la strada della semplicità tenderai a complicare il tuo ballo, nel tentativo di stupire te stesso e la tua partner.

“Vale dunque la pena ballare sul due?”.

Assolutamente sì! Vale la pena però se ti affascina quel particolare stile, quel particolare modo di entrare nella musica o di enfatizzare le pause (così come avviene nel son cubano), alla ricerca di un sabor che và ricercato più negli accenti corporei che nella velocità di esecuzione.

La differenza alla fine, secondo me, c'è e si vede, ma c'è dal momento in cui quel differente swing corporeo ti entra dentro per davvero.

Altrimenti diventa solo una goffa ricerca di un tempo sconosciuto che non ti offre nessuna garanzia di risultato.

Invece  di scervellarsi su quale sia la tecnica migliore, non sarebbe però più opportuno ricordare a tutti che un ballerino deve  riuscire a far parlare il cuore piuttosto che la tecnica? (in una epoca, però, dove la ragione prende sempre più il sopravvento sull'emozione)...

D’altra parte: è preferibile una persona che si diverta anche sbagliando o una che fa tutto per benino in maniera quasi robotica?

E’ meglio lasciarsi andare seguendo i canoni della fantasia o eseguire il compitino a memoria, così come ci hanno insegnato i nostri maestri?

Certo, l'ideale sarebbe la via di mezzo, ma non è proprio l'eccesso di tecnica o la ricerca di dottori o medicine miracolose a soffocare la nostra fantasia?...

“E’ il ballerino che fa la salsa e non la salsa il ballerino!

Il ballerino è come il cuoco, sta a lui far diventare una salsa saporita.

Una salsa non renderà mai saporito il cuoco!...”


Articolo scritto da Enzo Conte

martedì 2 ottobre 2012

LA STORIA DEL LOS ANGELES STYLE


Negli ultimi anni, in tutto il mondo, l’attenzione del pubblico salsero si è spostata verso uno stile altamente  spettacolare, conosciuto al grande pubblico come "Los Angeles Style".

Per capire meglio la genesi di questo stile, bisognerebbe andare indietro nel tempo ed avere come punto di partenza una pellicola, “Salsa”, uscita nel 1988, col fine di ripetere, dieci anni dopo,  il successo di un altro fondamentale film nella storia del ballo moderno: “Saturday’s Night Fever”.

La trama del film, ambientata proprio a Los Angels, è davvero esile. Racconta le vicende di un ragazzo di origine portoricana (interpretato dal cantante boricua Roby Rosa) che sogna di vincere un concorso di salsa per poter finalmente visitare la tanto agognata Puerto Rico. Il film è condito (a parte qualche scena metropolitana di un certo interesse) dai soliti amori, dalle solite gelosie e dai soliti stereotipi legati all’immagine degli immigrati portoricani.

Nonostante la sua fragilità, il film merita però di essere visto per le bellissime scene dedicate al ballo. Nella pellicola i ballerini danno vita ad alcuni virtuosismi straordinari, introducendo nella salsa: pirouette, casquet, acrobazie e prese in aria ereditate da balli quali il rock and roll o l'afro-jazz e la danza moderna.

Tutto questo grazie alla fantasia di due coreografi:  Kenny Ortega (coreografo del celeberrimo “Dirty Dancing” e dell'ultimo film di Michael Jackson) e l'intrigante Miranda Garrison, che della pellicola "Salsa" è anche una delle principali protagoniste.

Interessante è anche un video didattico in cui Kenny Ortega, partendo proprio da questo suo film, ci spiega la sua idea della salsa. Da questo video si evince chiaramente di come Kenny non abbia in realtà un passo base stabilito, né un tempo preciso di esecuzione. Lui non fa altro che prendere dei ballerini di diversa estrazione geografica e sfruttando le loro capacità confeziona per loro una salsa spettacolare e virtuosa che non ha una radice ma che si trasforma in un contenitore aperto alle influenze più disparate.

Questa libertà espressiva, priva di condizionamenti, ci aiuta  a capire meglio la nascita di questo nuovo stile:

un cubano, nato a Cuba, si formerà nel solco della tradizione coreutica del suo popolo; potrà magari innovare, creare un suo proprio stile ma non rinuncerà mai alla sua “cubania”. Un latino, nato in una metropoli come Los Angeles, non si sentirà costretto a seguire nessuna tradizione, potrà creare in maniera assolutamente libera, cercando di assemblare le cose che più gli piacciono senza per questo passare per traditore....

La salsa di Kenny Ortega diventa quindi di per sé un’incredibile fucina, un laboratorio coreografico, una sorta di free style che si trasforma in un importante precursore di quello che sarà battezzato successivamente Los Angeles Style.

La città californiana si trasformerà nel  luogo ideale per la nascita di questo nuovo stile, in quanto abitata da una foltissima comunità ispanica (in particolare di origine messicana) che però non è assimilabile alla comunità latina che popola i quartieri della Grande Mela (il celeberrimo Spanish Harlem).

I messicani che vivono in California sono affettuosamente chiamati chicanos. L’esponente più rappresentativo di questa comunità è sicuramente il chitarrista Carlos Santana. Sono stati proprio loro, i chicanos a mettersi a capo del movimento salsero. Un movimento piuttosto forte che garantisce grandi sale da ballo, un'ottima programmazione dal vivo e persino la rivista di salsa più famosa del mondo: "Latin beat".

Per quanto mi riguarda, ho avuto la fortuna di assistere da vicino all'evoluzione di questo stile. Ricordo perfettamente quando, nel 1997, arrivarono a Puerto Rico i fratelli Vasquez (Francisco, Luis e Johnny)  per partecipare al 1° Congresso Mondiale della Salsa. Il loro stile destò subito un grande interesse e molta ammirazione persino tra il tradizionale pubblico boricua. Colpivano soprattutto perché erano “diversi” ed avevamo una idea molto interessante e innovativa di che cosa fosse uno spettacolo di salsa.

In quella occasione i Vasquez, mostrarono al mondo intero il polso di una città come Los Angeles che, capolinea di molte influenze, ha finito col dare vita ad un tipo di salsa che per la sua spettacolarità e per la ricerca del colpo ad effetto ricordava molto da vicino la lambada brasiliana. Un modo di ballare molto libero e creativo, che però ha cominciato ad avere una sua precisa definizione solo con il passare degli anni.

Quando i fratelli Vasquez vennero per la prima volta a Puerto Rico in realtà, non avevano  uno stile definito. Avevano sì molte idee, ma era difficile classificare il loro modo di ballare che cambiava molto da una coreografia all'altra.

Durante quello storico Congresso,  i Vasquez hanno avuto la possibilità di conoscere e vedere all'opera i migliori ballerini del mondo. Da lì è nata l’idea di adottare  il concetto di linea (una delle caratteristiche dello stile newiorkese e portoricano) per poi edificare su quella base la loro idea di salsa.

Ecco perché oggi ci sono molti elementi in comune tra la salsa di Los Angeles, quella di New York e quella di Puerto Rico. In realtà, prima della nascita dei vari Congressi, questi ballerini coltivavano ognuno il proprio stile, poi col tempo hanno incominciato a prendere ognuno ispirazione dal lavoro degli altri.

La salsa di Los Angeles attualmente si differenzia semmai dal fatto che i suoi seguaci preferiscono ballare sul primo tempo della musica con lo scopo di accentuare la velocità di esecuzione. Questo stile si caratterizza inoltre per l’utilizzo di alcune tipiche acrobazie (quelle che in inglese si chiamano trucks o lifts) come ad esempio il celebre "muerto", figura in cui la donna nel cadere per terra viene risollevata dai piedi dell’uomo.

La salsa di Los Angeles (che gode oggi di svariati esponenti di fama mondiale), nonostante la sua incredibile diffusione, rimane per i più ortodossi una salsa profondamente americana con quel tanto di kitch che l’allontana parecchio dal tipico sabor caraibico. Ci troviamo però, non dimentichiamolo, ad Hollywood, nella patria del cinema e dello spettacolo e quindi ci sembra normale che la salsa californiana punti più sull’effetto a sorpresa che sul puro sabor.

La sua spettacolarità, se da un lato è stata oggetto di critiche, dall'altra  ne ha  sicuramente decretato il successo a livello planetario, in particolare tra le nuove generazioni salsere.

Il Los Angeles Style è oggi, infatti, una realtà che ha portato alla ribalta moltissimi ballerini, molti dei quali nati anche al di fuori dei confini californiani come i nostri Tropical Gem, capeggiati dai bravissimi  Fernando Sosa e Rafael Gonzales,  originari rispettivamente dell'Uruguay e di Cuba.

Si tratta di una salsa perfetta per un pubblico molto giovane e dinamico, non particolarmente legato alla tradizione. Chiaramente la sua modernità potrà farla sembrare scandalosa agli occhi dei conservatori e dei nostalgici, ma si inserisce in quella dialettica, oggi tanto attuale, tra modernismo e tradizione che sta dando parecchi grattacapi ai cultori e gli amanti della vecchia musica afro-latino-caraibica.

Ognuno potrà accettarla o meno, amarla o odiarla, ma è indubbio che è  sicuramente lo specchio di una salsa, in questo momento, sempre di più proiettata verso il futuro...

Articolo sritto da Enzo Conte

lunedì 1 ottobre 2012

" CHACHACHA ES UN BAILE SIN IGUAL" (Breve storia del chachacha)



Negli anni '50 Cuba viveva la dittatura di Fulgencio Batista, caratterizzata da crimini atroci, profonde ingiustizie sociali e da una corruzione dilagante. L'Habana, consegnata dal feroce dittatore nelle mani della mafia americana, era diventata nel frattempo un grande casinò a cielo aperto: la Las Vegas del Caribe.

L'esigenza di incrementare il gioco d'azzardo e di divertire le folle di turisti danarosi che affollavano i casinò, favorì indirettamente il bisogno di musica, di nuovi locali e la creazione di nuove espressioni musicali.

Le charangas, tipiche formazioni cubane caratterizzate dalla presenza dei violini e del flauto, raggiunsero in quegli anni il loro apogeo. Questo grazie soprattutto all'euforia provocata dal un nuovo ritmo: il chachacha, creato da Enrique Jorrín, violinista e direttore dell'orchestra America.

Questo nuovo ritmo fu favorito dall’incorporazione delle congas (avvenuta, in realtà  diversi anni prima per mezzo di Arcaño y sus Maravillas) nella classica formazione di charanga. Le congas contribuiranno a creare una interessante variante ritmica sincopata (presente anche del danzon de ritmo nuevo) che sarà accolta con grande entusiasmo dai ballerini locali.

Enrique Jorrìn (a cui si deve anche la creazione del danzón  "Silver Star" in cui apparve per la prima volta la famosa frase "chachacha chachacha es un baile sin igual") nel 1951 compose il brano “La Engañadora”, considerato in assoluto il primo chachacha della storia. Il musicista cubano, fiutando il cambio dei tempi, modificò la struttura tradizionale del danzón (riducendola) per concentrarsi totalmente sull’aspetto ritmico tanto amato dai ballerini. Creò quindi un nuovo schema ternario:

1°Una introduzione,
2°Una parte centrale cantata all’unisono da un coro,
3°Una parte finale caratterizzata da un refrain.

 In realtà il violinista cubano quando creò questo nuovo ritmo, non sapendo che nome dargli lo battezzò provvisoriamente "mambo-rumba". Solo due anni più tardi decise di chiamare la sua creazione chachacha, ispirandosi al suono onomatopeico che provocavano i ballerini nel marcare con i piedi la caratteristica sequenza sincopata di questo ballo.

Alla diffusione del chachacha collaborarono tutte le orchestre cubane più famose dell'epoca: l’Orquesta America, l’Aragón de Cienfuegos e quella di José Fajardo y sus Estrellas a cui si devono successi come: “Rico vacilón”, “Los marcianos”, “El bodeguero”, “Nada para ti”, “El Tunel”, “Yo tengo una muñeca”, “Me lo dijo Adela".

Per quanto riguarda il ballo, i ballerini cubani  solevano entrare sul quarto tempo, per marcare la sincope chachacha tra i tempi quattro e uno. Il movimento ritmico era quindi: (cuatro y un) dos-tres, mentre nella tradizione americana diverrà popolare la maniera di entrare direttamente sul primo tempo e marcare la sincope sul terzo e il quarto tempo: un-dos (tres y cuatro). Tutto ciò a dimostrazione di come il ballo, cambiando latitudine, si trasforma adattandosi al gusto e al costume locale.

In origine il chachacha era un ballo piuttosto semplice con figure composte da qualche scambio di posto o da semplici giri a destra o a sinistra. Il suo ritmo allegro e contagioso alimentò però la creatività dei ballerini che cominciarono a creare nuovi "pasitos"  (alcuni scivolati, altri  persino saltati), fino ad  inserire figure sempre più fantasiose che spinsero i  ballerini più virtuosi a riunirsi in circolo per eseguire la cosiddetta ”rueda de chachacha” dalla quale deriva quella che in futuro sarà chiamata “rueda de casino”.

Per l'evoluzione del chachacha grande importanza ebbe Bacallao, mitico componente dell'Orquesta Aragón, che incominciò ad inventare alcuni pasitos (tra cui alcuni tipici che troveremo in seguito anche nella pachanga) che cominciarono ad essere imitati dai ballerini dell'epoca.

Il chachacha ebbe subito una grande diffusione in tutto il mondo. Un enorme successo l’ottenne in particolare nella comunità latina residente negli Stati Uniti. Fu proprio nel  mitico Palladium di New York, che indimenticabili artisti come il cubano Machito ed portoricani Tito Rodriguez e Tito Puente,  seppero fare del chachacha uno dei balli favoriti della loro generazione.

Il chachacha seppe conquistare l’onore delle cronache persino in Italia . Attorno ad esso si scatenò la stessa febbre che in passato aveva saputo suscitare il mambo, favorendo anche  la nascita, tra gli anni '50 ed i '60, di alcuni successi discografici nostrani come ad esempio la famosa "Torero" di Renato Carosone.

Il chachacha è ancora oggi un ballo popolarissimo, entrato stabilmente, anche se con uno spirito molto diverso, tra le danze standard latino-americane che sono ricordiamolo: samba, paso doble, jive e appunto chachacha. Curioso come nel mondo degli standard, venga chiamato solo chacha e ancora più strano che molti siano convinti che questi sia il suo nome originale.

Sicuramente tra tutti i ritmi cubani il chachacha è l’unico a non essere mai passato di moda e anche durante l’apogeo della salsa ha continuato ad avere i suoi cultori e ha rappresentato per molti artisti una valida alternativa musicale. Persino alcuni artisti pop hanno preso ispirazione da esso. Un perfetto esempio di fusione fra il rock e il chachacha è rappresentato, ad esempio,  da  Carlos Santana, chitarrista californiano di origine chicana, a cui si devono brani immortali come: “Oye como va” (originariamente di Tito Puente), “Black magic woman”, “Moonflower”, fino alla recentissima “Corazon espinado”, che hanno saputo tenere alto, anche negli anni più bui, l’interesse del pubblico  verso i ritmi caraibici.

 Nell’attualità c’è da rilevare come nei locali italiani strettamente salseri raramente capita di ascoltare qualche chachacha. I deejay i preferiscono non programmarlo perché non vogliono correre il rischio di svuotare la pista. Di conseguenza gli stessi insegnanti di ballo non sono invogliati ad insegnarlo proprio perché nei locali non lo si balla mai. Sembra un po’ la storia del gatto che si morde la coda ma è decisamente un vero peccato perché il chachacha, al di là del suo fascino, è assolutamente propedeutico alla salsa e se ben fatto può veramente aiutare a migliorare il senso ritmico e interpretativo di ogni singolo ballerino.

Sicuramente per la sua diffusione  decisivo sarebbe il contributo dei tantissimi insegnanti cubani presenti nel nostro territorio. Purtroppo molti di essi, non sembrano al momento particolarmente interessati a mantenere in vita le loro tradizioni, al punto da indirizzare tutte le loro energie verso ritmi emergenti come la bachata o il reggaetton che però nulla hanno  a che fare con la loro storia e la loro cultura musicale.

In attesa di un loro scatto di orgoglio, a noi amanti della buona musica e della cultura afro-latino-caraibica non ci resta che rivolgere un appello sia agli operatori del settore che ai semplici appassionati: "RISCOPRIAMO IL CHACHACHA".

Ballo che con la sua semplicità e la sua allegria contagiante potrebbe aiutarci ad abbattere tutte le barriere esistenti oggi nel mondo della salsa.

Articolo scritto da Enzo Conte·

Non hai trovato quello che cercavi??? Cerca con Google

Ricerca personalizzata